Prima ancora di partire per Rio de Janeiro, era stato lo stesso nome della città ad incuriosirmi. Nello sfogliare i classici libri informativi, prima di intraprendere il viaggio, scoprii che il nome “Rio de Janeiro” ha a che fare con un italiano: si deve infatti ai navigatori A. Gonçalves e A. Vespucci, che, approdati il 1° gennaio 1502 nella Baia di Guanabara, chiamarono il luogo «fiume di gennaio», ritenendo erroneamente di aver raggiunto la foce di un grande fiume, disorientati dall’entrare del mare nella città in mille rivoli regalando panorami mozzafiato. La baia fu annessa formalmente nel 1531 ai possedimenti del re del Portogallo, dando da quel momento una connotazione unica alla cultura e tradizioni africane e indigene già insite negli abitanti del posto.
Pensando invece alla Rio de Janeiro contemporanea, molte volte mi sono chiesta se le canzoni, un genere letterario considerato minore, possano con la “potenza di fuoco” della musica e delle parole, unite per un unico scopo, dare un’idea palpabile della città. Perché – vi apparirà strano – ma l’idea di Rio de Janeiro – e penso di essere in buona compagnia – me l’avevano consegnata le suggestioni ispirate dalle canzoni dedicatele o comunque evocative dei suoi paesaggi e della sua cultura. Il Brasile ha dato origine a tanti generi musicali e molte canzoni sono state dedicate direttamente o indirettamente a Rio de Janeiro; in particolare, lo storico brano Cidade Maravilhosa di André Filho è un vero e proprio omaggio alla città di Rio de Janeiro, che, pur essendo stato composto nel 1943, continua a conoscere attuali interpretazioni tra gli arti nostri contemporanei, tra cui il mitico Caetano Veloso: tutti i brasiliani si riconoscono nel suo testo e la adorano.
Cidade maravilhosa (Città meravigliosa)
Cheia de encantos mil (Piena di mille incanti)
Cidade maravilhosa (Città meravigliosa)
Coração do meu Brasil! (Cuore del mio Brasile!)
Jardim florido de amor e saudade (Giardino florido di amore e saudade!)
Terra que a todos seduz (Terra che seduce tutti)
Que Deus te cubra de felicidade (Che Dio ti copra di felicità)
Ninho de sonho e de luz (Nido di sogni e luce)
A seguire, il ritmo della bossa nova di “Agua de beber” di Antônio Carlos “Tom” Jobim, probabilmente il figlio più illustre di Rio, come pure “Tristeza por favor vai embora” portata al successo in Italia da Ornella Vanoni con una traduzione a lei dedicata, cantando la saudade brasiliana, mi avevano ulteriormente introdotto nell’atmosfera carioca. Allo stesso scopo avevano contribuito il magnifico samba, altro genere musicale autoctono, espresso in “Mas que nada”, che mi ha regalato la netta cifra del fatalismo e dell’innata allegria congiuntamente insiti nella cultura brasiliana.
Dal punto di vista geografico oltre che musicale, la magnificenza della città mi era stata restituita attraverso una delle più celebri canzoni della musica brasiliana, “Corcovado”, un altro capolavoro composto da Jobim perché fosse interpretato da João Gilberto, che, pur essendo la fotografia di un istante, è un acquerello di un angolo di paradiso, di quel bellissimo scorcio della città di Rio di cui l’autore poteva godere affacciandosi dalla finestra del suo appartamento in Rua Nascimento Silva, al numero 107, per ammirare il monte Corcovado ed il Cristo Redentore, simbolo di Rio de Janeiro e del desiderio che nulla cambi, la stessa visione che il trio formato da Ryuichi Sakamoto e Paula e Jaques Morelenbaum ha voluto imprimere nella copertina dell’album capolavoro, registrato nello stesso appartamento, “Casa”, dedicato proprio al grande repertorio del Maestro brasiliano.
Ancora, da un’altra prospettiva, un altro pezzo del mosaico mi era stato restituito da “Garota de Ipanema”, canzone che racconta la storia di una ragazza realmente esistita, la “musa” di Jobim e Vinícius de Moraes, che storicamente risponde al nome di Heloísa “Helô” Pinto, che abitava poco distante dal Veloso, al 22 di Rua Montenegro. I due “poeti” la videro effettivamente spesso nell’inverno del 1962, anche perché Helô, che all’epoca aveva 15 o 16 anni, era cliente dello stesso bar, dove si recava per comperare le sigarette alla madre. La ragazza non passava inosservata, in quanto alta e, all’epoca, mora, con gli occhi azzurri, abbronzata e verosimilmente molto bella. Forse non ispirò direttamente la canzone, che si dice sia stata in parte scritta in precedenza, ma sicuramente divenne, nell’immaginario di de Moraes, il perfetto esempio della esuberanza brasiliana descritta nei suoi versi e la rappresentazione poetica del panorama compreso tra le spiagge di Copacabana e Ipanema.
Arrivai a Rio de Janeiro con mia figlia Flavia, all’alba di un giorno di giugno, e prendemmo albergo a Copacabana; la stanza aveva una enorme parete vetrata che dava sul mare, da cui ammirai il sorgere del sole a Rio de Janeiro. La città si presentava di una bellezza sconvolgente, pressoché inverosimile ed eccessiva, da far girare la testa. Quasi che, nonostante l’immaginazione esercitata, non fossi preparata a tanta bellezza. La sensazione fu confermata nella prima mattinata trascorsa a Rio, allorquando, salendo al Corcovado, lo sguardo si perdeva tra montagne e colline dalle curve inverosimili, denominate Pão de Azucar, le acque del mare che si avventurano sinuose nell’entroterra della città, la più grande foresta urbana del mondo, Tijuca, la mata atlântica, dai mille toni di verde che entra nella metropoli, le favelas variopinte che si alternano ai grattacieli lineari e modernissimi; la meravigliosa laguna con le lussureggianti mangrovie, le splendide isolette felici disseminate a caso e vicine alla costa, e le spiagge oceaniche con surfisti arsi dal sole con le tavole da surf più colorate che abbia mai visto!
In poche parole, troppa bellezza concentrata in un unico luogo geografico!
Per me, per molti versi, Rio De Janeiro è paragonabile alla nostra Napoli, la cui bellezza entra dentro più delle mille ragioni che puoi razionalmente comunicare o fotografare. Natura scenografica ed esuberante, cultura frizzante e multiforme, abitanti allegri e ospitali, tanto passato e una moltitudine di contrasti: sono queste le ragioni che fanno di Rio de Janeiro la Cidade maravilhosa, quell’icona famosa in tutto il mondo, che la rendono, senza ombra di dubbio, la città latinoamericana più sui generis e interessante da visitare, l’unica dalla dominazione portoghese e l’unica dove non si parli lo spagnolo. La città che i suoi stessi abitanti – non senza ragione – considerano la più bella del mondo, capace di lasciare un segno indelebile nell’anima e nei diari di viaggio.
La stessa effervescenza si può riscontrare anche nei cibi che si possono assaporare dappertutto, sia nei chioschi lungo la strada che in lussuosissimi e stellati ristoranti, in molti dei quali si può godere di musica dal vivo avendo così l’esatta percezione del favoloso contesto in cui si è inseriti in quel momento.
Come tutta la cultura brasiliana anche la cucina risente di tre influenze essenziali, quella tradizionale portoghese, quella degli schiavi di origine africana e quella degli Indios.
Ma lì tutto “sa di Brasile”, perché ogni piatto è arricchito di spezie o comunque mix di cipolla, rosmarino, coriandolo, carote e aglio essiccati, pepe, cumino, semi di senape: sono gli ingredienti che arricchiscono ogni piatto della tradizione e donano un sapore inconfondibilmente carioca.
Altra considerazione che sorge spontanea è l’ottima qualità dello street food che è destinato a tutti, anche a chi economicamente potrebbe permettersi un ristorante famoso. Probabilmente in correlazione al clima di eterna primavera, gli abitanti sono molto portati a stare all’aperto, ed è possibile vedere impeccabili uomini d’affari in pausa pranzo prendersi una saporita Coxinha de galinha, un Bolinho de bacalhau o una Sopa Leão Veloso in un chiosco sgangherato sul lungomare. Sono gli stessi cibi che possono essere ordinati in lussuosi ristoranti cittadini.
Le Coxinha de galinha sono simili ad un’arancina e sono a base di carne di pollo, peperoni a striscioline, cipolle tritate, passata di pomodoro e prezzemolo, il tutto impanato con uova, farina, burro e latte.
Le Bolinho de bacalhau sono crocchette di baccalà, lessato precedentemente, e patate bollite nell’acqua di cottura del pesce, arricchite con cipolla, aglio, uova e prezzemolo, poi fritte nell’olio di mais.
La Sopa Leão Veloso è una versione brasiliana della zuppa ai frutti di mare, tra cui gamberi, aragosta, astice, calamari, crostacei e molluschi, in cui però il sapore del pesce è connotato dal fatto che il suo brodo viene eseguito con un soffritto di cipolla, pomodoro, zenzero, teste di gamberetti e altri scarti del pesce.
Cibo carioca per eccellenza è la Feijoada o zuppa di fagioli neri e carne, per lo più salsiccia affumicata, lonza di maiale, carne di manzo, bolliti insieme e insaporiti con spezie, per poi essere serviti in una grande pentola di terracotta accompagnata da riso bianco. Secondo la tradizione, questo piatto sarebbe stato inventato dagli schiavi a cui, però, solo di rado venivano aggiunti dei pezzi carne; da qui poi la ricetta fu ripresa anche dai più famosi ristoranti di Rio a partire dal XIX secolo.
Il popolo carioca suole la domenica andare a ristorante a mangiare il Churrasco, che prevede una molteplicità di tagli di carne arrostite con una cottura lenta su un grande spiedo detto “espeto”, posizionato lontano dal fuoco vivo, cottura che dona alla carne una leggera affumicatura; io personalmente, tra i tagli di carne possibili, adoro la Picanha che potrebbe essere identificata col codone di manzo tagliato a triangolo.
Il pranzo è spesso accompagnato da un buffet di verdure, ma la particolarità è che tra una portata di carne e l’altra normalmente si serve ananas cotta allo stesso spiedo della carne che, dicono, serve ad incentivare la digestione.
Fui sorpresa inoltre dal costume di dotare gli ospiti di un talloncino verde e uno rosso, così da poter comunicare ai camerieri di servire altre portate o che invece si è sazi, atteso che la formula è simile ai nostri “All you can eat”.
Ogni piatto, come si può notare, è connotato da sapori forti, che, per quanto certamente apprezzabili, sono lontani dalla nostra tradizione gastronomica.
Oggi però voglio lasciarvi la ricetta di gustosissimi panini brasiliani che i cittadini di Rio de Janeiro mangiano sia abbinati al dolce, magari col caffè alla mattina, che col salato, che chiamano Pão de queijo. Altro non sono che una pallina di pane al formaggio, fatta in particolare di farina di tapioca (in un tempo in cui scarseggiava la farina di grano ed era comune trovare la manioca o yuca), olio, sale, uova. Si tratta di una prelibatezza che ha per certo origini portoghesi (è evidente dal nome attribuitogli), comune nello stato Minas Gerais, risalente al lontano XVIII secolo, diventata famosissima in Brasile a partire dagli anni cinquanta.
Ricetta
Ingredienti:
500 g Farina di tapioca
200 g Parmigiano reggiano
2 Uova
100 ml Acqua
100 ml Latte
100 ml olio di semi di mais
Procedimento:
- Mettete in un pentolino l’olio, il latte e l’acqua a bollire.
- Spegnete la fiamma e aggiungete poco per volta la farina di tapioca girando energicamente con un cucchiaio di legno per evitare addensamenti.
- Fate raffreddare il composto.
- Unite il parmigiano grattugiato continuando a girare.
- Unite il primo uovo e mescolando all’impasto fino a che lo avrà assorbito completamente.
- Unite il secondo uovo e fate la stessa cosa.
- Trasferite il composto in una sac a poche o in un sacchetto per congelare i cibi, fate un taglio in un angolo e formate delle piccole palline di massa sopra una leccarda su cui avrete posizionato carta forno.
- Cuocete i panini brasiliani al formaggio in forno preriscaldato ventilato a 180° per 30 minuti circa fino a che saranno ben gonfi.
Sfornate i panini al formaggio e lasciateli raffreddare … se ci riuscite: sono certa che l’odore diffuso per la casa vi provocherà un assaggio quando saranno ancora caldi.
Angela de Mario