La trama (Attenzione: sono presenti spoiler)
Siamo a Monaco di Baviera. E’ il 19 febbraio del 1943 e lì opera la “Rosa Bianca”, un gruppo di resistenza formatosi durante la dittatura di Hitler, composto da ragazzi universitari, uniti dal disgusto verso una guerra insensata e tutti pronti a rischiare la vita per la “Libertà”. Ma proprio quel giorno vengono scoperti ed arrestati due membri, i fratelli Hans e Sophie Scholl: lui è un ventiquattrenne studente di medicina e lei una ventunenne matricola di filosofia e biologia. I due fratelli erano usciti di casa verso le dieci e mezzo, si erano diretti all’università con una valigia piena di volantini, approfittando del clima reazionario che si era creato con il recente “sensazionale scontro fra gli studenti e il regime”, scatenato dalle parole pesanti e maschiliste di Gauleiter Giesler, massima autorità nazionalsocialista bavarese. Vengono scoperti e colti sul fatto dal bidello Jakob Schmid, poi trascinati dal rettore, il comandante maggiore delle SS, il dottor Walter Wüst, ed infine arrestati dalla Gestapo e condotti, per gli interrogatori, agli uffici della polizia segreta, nel palazzo Wittelsbach. Sono sospettati di attività illegali ed etichettati come pericolosi sovversivi. Sono obbligati, sotto i colpi dell’evidenza, a confessare, cercando però di tenere nascosta l’identità degli altri complici. A Sophie viene offerta la possibilità di salvarsi dalla condanna, ammettendo di essere stata trascinata dalla forte personalità del fratello; ma la ragazza, di grande statura morale, non accetta di mentire, fedele alle sue convinzioni ed ideali. Giudicati colpevoli di preparazione all’alto tradimento, vengono tutti giustiziati con la ghigliottina. Il fulcro del film sta proprio nell’interrogatorio condotto da Robert Mohr ad una Sophie affatto intimorita, che dapprima nega ogni addebito quasi con divertita baldanza, e quando si rende conto che le prove contro di lei sono inequivocabili, si assume tutte le colpe cercando di proteggere il fratello e gli amici. Mohr, un vero professionista, rimane in un certo senso soggiogato da quella ragazza, capace di tenergli testa con tanta fierezza. Il sottile gioco psicologico che si instaura fra i due è avvincente e l’ufficiale nazista, alla fine, offrirà a Sophie Scholl una via d’uscita, attraverso la quale, rinnegando le proprie idee, potrebbe evitare la condanna a morte. Ma la ragazza rifiuta firmando da sola la sua condanna a morte insieme al fratello e un loro amico.
Le mie riflessioni
La Rosa Bianca – Sophie Scholl (Sophie Scholl – Die letzten Tage) è un film del 2005 diretto da Marc Rothemund.
L’ho visto a tre anni di distanza dalla sua uscita in sala cinematografica e ne rimasi sconvolto. L’ho rivisto recentemente in DVD e la mia impressione è ancora di un maggiore sconvolgimento.
Perché si tratta di una film in cui la barbarie del nazismo viene vista, come poche altre volte, dall’interno, dalla parte dei tedeschi che noi tutti -colpevolmente- siamo abituati a considerare come consustanziali al nazismo.
Questa é la grande storia vera, verissima, di una ragazza normale che, insieme al fratello, all’amico e ad altri pochi ragazzi diventa, suo malgrado, una esaltante eroina: non é indottrinata da qualsivoglia opzione politica, é protestante, risponde soltanto alla sua coscienza, non può assolutamente “comprendere” perché la distribuzione di alcuni volantini possa essere un atto criminoso contro il nazismo.
Insomma la normalità della nostra incrollabile coscienza, dove i sentimenti di giustizia che albergano negli intimi recessi del nostro sentire, rifiutano -anche a livello inconscio- la follia di quella guerra, di quel regime che uccide gli ebrei e che proclama la classe superiore a fronte di bambini malati di mente.
E’ una ragazza tosta Sophie, tosta ed intollerante con se stessa nel senso della giustizia che connota il dna del suo sentire, tosta senza cercare assolutamente di apparire tale. Risponde a chi la interroga con le armi della ragione, del suo credo in Dio, dell’unico Dio che invoca di darle il coraggio di andare avanti. Rifiuta l’ancora di salvataggio che le offre il dirigente della Gestapo, un dirigente – si badi bene- assolutamente non indottrinato, bensì un semplice “servitore” ed “esecutore” dello stato nazista, uno dei tanti del regime.
E’ un film tutto tedesco, ampiamente sofferto dal regista e dalla protagonista, dai protagonisti tutti, a ricordare che non dobbiamo assolutamente dimenticare quello che é successo, oggi che finalmente si é coronato ampiamente il sogno della unificazione delle “due” Germanie che apparve come una grande ingiustizia agli studenti del ’68.
Questa grande e sofferta pausa di riflessione a cui ci obbliga un film di grande impegno civile, assume una particolare connotazione negli anni 2000 dove tutto si normalizza e si omologa, dove ogni forma di “resistenza” viene edulcorata sotto le false spoglie della pace civile.
La scena finale di Sophie che abbraccia suo fratello ed il suo amico, dopo una breve fumata, indica il percorso obbligato della nostra coscienza, della autoresponsabilità, della costanza della ragione che deve rispondere soltanto all’interno del nostro io, contro l’appiattimento che determina la sconfitta irreversibile dei sentimenti a mezzo della quale si concretizza ogni forma di sopraffazione dell’uomo sull’uomo.
Nonostante la sua candidatura all’Oscar, di fatto il film è stato dimenticato e solo alcuni bravissimi professori di scuole medie o superiori ne hanno fatto oggetto di studio e di approfondimento, scelta che ritengo assolutamente valida ed importante perché -lo ripeto- Sophie Sholl non è una eroina predestinata né lo era suo fratello Hans e il suo amico, bensì una ragazza 21enne come tante altre, normale, di religione protestante, che non vede dove possa esistere la colpa sua, di suo fratello e del suo amico nel distribuire volantini nella loro Università a fronte della barbarie nazista. Prega soltanto il suo Dio di darle coraggio, ha rifiutato con la disinvoltura tipica dei giovani di salvarsi. costantemente tesa ad affermare, come ho detto, la sua ragionata autoresponsabilità.
E quell’ultima sigaretta fumata insieme con suo fratello e il suo amico prima di essere ghigliottinata costituisce ancora oggi la cattiva coscienza nostra nell’accettare un qualsivoglia compromesso.
Nicola Raimondo