La trama (Attenzione: sono presenti spoiler)
Ambientato nei “mitici” anni ’60, Adriana è una bellissima e giovane ragazza della provincia di Pistoia, e come avviene spesso in quegli anni, lascia la famiglia e il suo paese con cultura e vita provinciale, per trasferirsi a Roma in cerca di fortuna. Giunta a Roma si sistema in un piccolo appartamento di fronte al Gazometro e comincia la sua routine lavorativa. Passa infatti da un lavoro all’altro e diventa prima domestica, poi parrucchiera, poi ancora maschera in un cinema e infine cassiera in un bowling. In questo suo vortice lavorativo (che richiama sia pure alla lontana la vita attuale delle nostre donne alle prese con il lavoro, la famiglia e la povertà), Adriana fa la conoscenza di diversi uomini che approfittano di lei e della sua ingenuità. Infatti, incontra prima Dario, un ladruncolo che le fa passare una notte in un albergo e al mattino fugge lasciando il conto in sospeso. Poi viene Carlo, un bel ragazzo della borghesia romana di cui si invaghisce, ma che è innamorato di un’altra.
E poi uno scrittore e infine il garagista del suo stabile, con cui ha un’avventura notturna. Ma nonostante le sue disavventure, Adriana è una ragazza piena di speranza. Il danaro che ha guadagnato con molti sacrifici lo affida ingenuamente a un ambiguo agente che le prospetta la possibilità di lavorare nel cinema, cioè il motivo vero e nascosto per il quale è venuta a Roma lasciando casa sua. Però le uniche cose che Adriana riesce a fare nel campo cinematografico sono minime: partecipa come comparsa in un film mitologico, presenta qualche vestito in teatrini di provincia e appare in un cinegiornale (fa un provino con il massimo della serietà e ne risulta uno sketch ridicolo). A seguito dei suoi rapporti per così dire “amorosi”, Adriana rimane incinta, senza neanche sapere chi sia il padre e si vede costretta ad abortire. Allora torna al suo paese per visitare la famiglia e scopre la tragedia: la sorellina minore, Stefanella, è morta in seguito a una malattia.
Adriana scappa di nuovo a Roma, si “consola” passando da una festa all’altra e per la sua disarmante e ingenua bellezza viene circondata da uno stuolo di dubbi corteggiatori. Infatti una sera va in un night, balla, si ubriaca e passa la notte a gironzolare con uno sconosciuto, a bordo di una Fiat 500. All’alba torna nel suo appartamento, mette un nuovo disco, si sfila la parrucca, mette un disco, due lacrime miste a rimmel appaiono sulla sua guancia, si guarda nello specchio e si butta dalla finestra.
Le mie riflessioni
Io la conoscevo bene è un film del 1965 diretto da Antonio Pietrangeli.
In realtà, il film nasce, di fatto, nella primavera del 1961 quando Ruggero Maccari, Antonio Pietrangeli ed Ettore Scola iniziarono a lavorare insieme al copione ed alla realizzazione della pellicola. Programmano ed effettuano, infatti, interviste a comparse, soubrette e attrici alle prime armi. In un primo momento, per il personaggio di Adriana pensarono a Natalie Wood, Silvana Mangano, Brigitte Bardot. Ma trovarono l’ostacolo proprio in Pietrangeli che si impose e scelse Stefania Sandrelli, che compariva per la prima volta in un ruolo da protagonista. La Sandrelli, attrice sublime, si affidò (e lo dichiarò pubblicamente con grande emozione) a una recitazione naturalistica, si abbandonò alla sua bellezza acerba, imbronciata, solare, maliziosa e riuscì ad interpretare con assoluta naturalezza ed efficacia la effettiva innocenza e fragilità del personaggio di Adriana la cui vita si conclude con un suicidio.
Ma nondimeno sono importanti i personaggi che ruotano attorno ad Adriana: Nino Manfredi (l’imbroglione agente pubblicitario che promette ad Adriana fama e fortuna) ed Ugo Tognazzi, che si aggiudicò il Nastro d’argento come attore non protagonista, in una scena che dura una manciata di minuti, nei panni del disperato Bagini, un vecchio attore disposto a tutto per ottenere una parte, Tognazzi dà prova del suo talento in un estenuante balletto su un tavolino, sotto gli sberleffi di soubrette e ruffiani, fino a rischiare l’infarto.
Adriana è una ragazza figlia del suo tempo, sicchè il commento musicale ad opera di Piero Piccioni, ha un ruolo fondamentale anche con le numerose canzoni dell’epoca, che Adriana ascolta quasi isolandosi dal mondo che la circonda. Quelle canzoni sono la “sua vita”, la nostra vita anche oggi per noi ragazzi – non più – degli anni ‘40: Mina (Eclisse twist, Addio e E se domani), Peppino di Capri (Le stelle d’oro e Roberta), Sergio Endrigo (Oggi è domenica per noi, Mani bucate e Dimmi la verità), Millie (Sweet William e What Am I Living For?), Gilbert Bécaud (More e Toi), Mia Gemberg (Ogni giorno che passa), Gino Marinacci e i suoi solisti (Surf della frusta), le Gemelle Kessler (Lasciati baciare col letkiss), Ornella Vanoni (Abbracciami forte) e Yvar Sauna e la sua Orchestra (Letkiss).
Pur nella breve storia cinematografica di Antonio Pietrangeli, il film – ampiamente avversato alla sua uscita dalla cd. critica ufficiale – rappresenta un importantissimo capitolo del cinema italiano della metà degli anni ’60, nonostante il giudizio avverso e severo di Gian Luigi Rondi che all’epoca decretava la sorte di ogni film: “Nulla da eccepire sulle intenzioni letterarie di questo ritratto, che forse ripetendo vecchi temi, mirava a polemiche più profonde di quelle sin qua tentate da Pietrangeli, nell’ambito soprattutto di un’osservazione acuta e dolorosa del nostro costume contemporaneo. Purtroppo queste intenzioni non sono state adeguatamente servite né dal testo, né in molti casi dalla regia”.
Ma chi – come il sottoscritto – lo vide nel lontano 1965, lo considerò e lo considera tuttora uno degli affreschi più feroci di un certo sottobosco cinematografico e pubblicitario, molto comune nell’Italia del boom economico e il primo manifesto autentico delle condizioni della donna pur in un epoca di “benessere”. Infatti “Io la conoscevo bene” è il ritratto duro, feroce, di quella piccola/grande Italia industriale e provinciale degli anni ‘60, in particolare di una Roma divoratrice e tritatrice di ogni e qualsivoglia “anima” che viene dalla provincia, soprattutto di quelle femminili.
In questo contesto si muove Adriana, in mezzo a una carrellata di personaggi caricaturali e meschini, che di fatto fanno di lei una creatura sventurata e vinta, fino ad arrivare al suicidio.
Insomma, il film di Pietrangeli inizia da dove era finito “La dolce vita” di Fellini, cioè dalla scena finale tra Marcella e la Valeria Ciangottini che non si sentono tra di loro sulla foce di un torrente che sbocca in mare e che, simbolicamente, rappresenta la perdita della innocenza del Morando de “ I vitelloni” che da Rimini a Roma diventa Marcello.
Antonio Pietrangeli, insieme a Scola e a Maccari, già aveva affrontato il tema delle donne sopraffatte dalla società e quindi distrutte, nonostante l’entrata in vigore della Legge Merlin sulla chiusura delle case di prostituzione in “Adua e le compagne” nel 1960 se non ricordo male con una grande Simone Signoret, Emmanuelle Riva e Sandra Milo. Ma in “Io la conoscevo bene” lui calca fortemente la mano sul personaggio Adriana, una ragazza della provincia che descrive in questa maniera corretta e vera: “Morale nessuna; neppure quella dei soldi perché non è una puttana. Per lei, ieri e domani non esistono. Non vive mai giorno per giorno, perché questo la costringerebbe a programmi complicati. Perciò vive minuto per minuto. Prendere il sole, sentire i dischi, ballare sono le sue uniche attività. Per il resto è volubile, incostante, ha sempre bisogno di incontri nuovi e brevi; non importa con chi: con se stessa mai.”
E’ questo il significato del film che costituisce, con Adriana/Stefania Sandrelli, il manifesto del “femminismo” reale e non di facciata che tuttora vive e deve andare avanti. E non a caso il film è stato inserito tra le 100 pellicole italiane da salvare. E’ il vero manifesto del femminismo dell’epoca, manifesto fatto nondimeno da un uomo/regista che ha vissuto poco e che è mancato troppo presto alla vita del cinema e alla nostra vita. “Il mancato incontro con se stessa” è una denuncia violenta e dura. E il suicidio di Adriana, fatto in una manciata di secondi, costituisce una profonda riflessione che tutti dobbiamo fare, ancora oggi, sulla sopraffazione dell’uomo sulla donna e sulla lotta sulla parità di genere non effimera e non di facciata, che noi abbiamo fatto dal 1968 in poi.
Con pochi e deludenti risultati.
Purtroppo.
Nicola Raimondo