Il “Jazz Revenge Fest #1” dell’associazione Nel Gioco del Jazz continua a stupire con Fred Hersch

È un’opportunità che non accade molte volte nella vita, quella di poter partecipare al concerto di uno dei più grandi pianisti viventi, definito da Vanity Fair “Un pianista smaccatamente innovativo nell’ultimo decennio e anche più”, dal New York Times “Un pianista, compositore e concettualista di raro potere immaginativo”, da The Guardian “Uno degli improvvisatori di piano più formidabilmente completi a suonare al giorno d’oggi”.

Non da meno risultano le parole del Direttore Artistico dell’associazione Nel Gioco del Jazz, M° Roberto Ottaviano, che l’ha definito “Un pittore del pianoforte”, e ha invitato, nella sua guida all’ascolto trasmessa prima del concerto, ad ascoltare il suo straordinario lirismo. L’ospite del “Jazz Revenge Fest #1” organizzato dall’associazione all’Anfiteatro della Pace del Centro Commerciale Mongolfiera di Japigia è un nome di assoluta eminenza, che arriva a Bari, in un tour che toccherà anche Umbria Jazz e Montreux. 

Stiamo parlando di Fred Hersch, pianista jazz statunitense, autentico campione di specialità, per qualità, quantità ed estensione stilistica della sua discografia e dei suoi registri interpretativi. Non vi è una sola sfaccettatura del piano jazz che Hersch non abbia toccato durante la sua esibizione, volata come un soffio, bella da far impallidire le stelle del cielo cittadino. Dagli standard jazz internazionali, alle variazioni sul pop di ieri e avant’ieri, ai componimenti originali, il concerto di ieri sera può definirsi a pieno titolo monumentale ed enciclopedico. 

Si parte col botto, con “Zingaro” di Antônio Carlos Jobim, dove Hersch si chiarisce da subito: il tocco elegante pennella variazioni che sembrano essere dentro il pianoforte da sempre, in attesa di essere liberate. 
Parte del concerto è dedicata all’ultimo album di Hersch, “Songs from Home”, composto nella sua casa in Pennsylvania durante il lockdown. In particolare, diverte l’interpretazione di “After you’ve gone”, pezzo pop del 1918, interpretato da Marion Harris, la cui versione jazz più conosciuta è di Art Tatum. Il Maestro ha deliziato il pubblico anche con “Sarabande”, rivelando di volta in volta trovate ricche, cangianti, mai uguali a loro stesse, dove il virtuosismo giammai torna inutile.

Un tributo fenomenale è reso a Joni Mitchell, con “Both sides now”, uno standard folk, tratto dall’album “Clouds” di Mitchell, preso a prestito e reso migliore, se possibile, dal jazz, e all’interno del repertorio jazz, Hersch ne rende una versione matura, piena, apicale.

Altro pezzo, altra stella del firmamento jazz: “Whisper not”, di Benny Golson. Non mancano omaggi a Thelonious Monk e Duke Ellington.
 
A riprova della sorprendente modernità del suono di Hersch, giunge “Everybody’s song but my own” di Kenny Wheeler, un pezzo giovane, di fine anni ’80, composto per quintetto, reso magistralmente su un piano cui non manca nulla.

Sempre dagli anni ’80, la variazione su un pezzo pop di Billy Joel, “And so it goes”.

Ci si affretta a definire jazz qualsiasi contaminazione, variazione, sentore di distacco dalla musica pop, ma chiunque corra ad etichettare tutto come jazz, dovrebbe ascoltare un concerto epico come quello di ieri, per comprendere a fondo la differenza tra innovazione e approssimazione, tra evoluto e insignificativo. E il concerto di ieri è stato significativo per antonomasia.

Beatrice Zippo

Photo credits: www.fredhersch.com  
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