La sorella della porta accanto non è più o meno importante della sorella afghana, soffocata, violentata, mercificata, torturata, uccisa, lasciata nell’ignoranza. Queste sono le storie delle sorelle afghane che arrivano fino a noi, emblemi di un intero popolo, fatto di minoranze etniche, dissidenti, intellettuali, cooperanti, studiose e studiosi, lavoratrici e lavoratori. Un popolo che, se non è possibile far vivere in pace, nelle città in cui è nato e cresciuto, deve trovare un posto dove possa vivere in salute e sicurezza.
Zarifa Ghafari, 29 anni, è la sindaca di Maidanshahr, piccola città a 46 km di Kabul, nominata dal Presidente Ashraf Ghani. Il Presidente, nelle ore in cui Kabul cadeva sotto l’avanzata talebana, è fuggito in Pakistan.
Ghafari è l’afghana più giovane a ricoprire quell’incarico, tra le prime donne a ricoprire un incarico governativo. Ha dichiarato:
“I talebani verranno per le persone come me e mi uccideranno. Sono seduta qui in attesa che arrivino. Non c’è nessuno che aiuti me o la mia famiglia. Sono con mio marito, non posso lasciare la famiglia e comunque dove andrei? Sono distrutta. Non so su chi fare affidamento. Ma non mi fermerò ora, anche se verranno di nuovo a cercarmi. Non ho più paura di morire”
Vincitrice dell’International Women of Courage assegnato dal Dipartimento di Stato USA (sì, gli stessi che hanno trattato con i Talebani per la riconsegna dell’Afghanistan nelle loro mani), ha inoltre dichiarato su Twitter
«Mia cara patria, so che stai soffrendo. So che è difficile per te perché gli estranei ti bruciano e cercano la tua distruzione. Ma i tuoi veri figli che cercano di costruirti sono pieni di coraggio, cercando di tirarti fuori da questi giorni terribili»