Quando scelgo un film da vedere, la prima domanda che mi pongo è se il titolo è quello giusto: così, ieri sera, prima di recarmi al cinema, mi sono chiesto se quello scelto in Italia, “Il collezionista di carte”, fosse il più idoneo a identificare quell’opera.
Come al solito, il titolo era sbagliato.
Quello originale “The card counter” (letteralmente traducibile in “Il contatore di carte“) è più idoneo, vero e rappresenta in modo compiuto l’idea che percorre tutto il film ed il suo personaggio principale.
Il contatore, come quello dell’Enel per intenderci, è freddo, grigio, non ha sentimenti o pulsioni, conta quello che deve contare e nulla più.
Così William Tell (Oscar Isaac) che, dopo aver fatto cose di cui porta dentro il debito morale e aver conosciuto in galera le “Memorie di Adriano”, vuole passare la sua vita senza sentimenti e senza emozioni, giocando a carte, poco per non farsi notare, poker o black jack, contando le carte e girando per le case da gioco negli USA, tutte uguali, come se fosse sempre la stessa, quasi una prigione.
“Perché giocare d’azzardo se non vuoi i soldi? E’ un modo per passare il tempo.”
Poi la vita gli gioca uno scherzo che lo costringerà a fare i conti con il suo passato e rimetterà totalmente in gioco il suo modo di essere, per sempre.
Il film si snoda in maniera lenta (come il personaggio vorrebbe fosse la sua vita), con il viso di Isaac spesso in primissimo piano, con la sua asimmetria, opaco e concentrato solo sulle carte. La musica, minimale, nella sua assenza sottolinea momenti di vita vera, quasi neorealistica (sempre all’americana ovviamente). Gli altri personaggi, oggettivamente, sono strumentali solo al protagonista e non vivono di una vita propria, quasi che la loro sottomissione alla storia sia la loro stessa ragione di vita.
L’insieme del film è molto interessante e apre, tra l’altro, alcuni scorci su quello che gli esportatori di democrazia (fra cui elenchiamo gioiosamente anche i paesi europei, Italia inclusa) compiono negli interrogatori avanzati, più simili al medioevo oscuro che alla fulgida libertà di propaganda.
Per Oscar Isaac un bel salto, dallo sparatutto Poe Dameron di Star Wars all’introverso e taciturno William Tell di Paul Schrader.
Il regista (ricordate “Taxi Driver“? La sceneggiatura è sua) anche in questo film non smette i panni del moralista ma ci regala (anche se abbiamo pagato il biglietto) un motivo di riflessione che, ogni tanto, non riguarda il covid ma la vita vera, quella con i baci e senza mascherine.
Marco Preverin