Oggi commemoriamo una sorella afgana del passato. Nadia Anjuman, nel novembre 2005, ha lasciato una figlia di sei mesi. È morta all’età di 25 anni per diretta conseguenza delle botte di suo marito, prese perché aveva declamato le sue poesie in pubblico. Ha conosciuto le angherie dell’emirato Islamico prima della caduta di Al Qaeda, riuscendo in ogni caso a laurearsi e a pubblicare una raccolta di poesie, Gul-e-dodi (Fiore Rosso Scarlatto).
La ricordiamo con una sua poesia
NESSUNA VOGLIA DI PARLARE
Che cosa dovrei cantare?
Io, che sono odiata dalla vita.
Non c’è nessuna differenza tra cantare e non cantare.
Perché dovrei parlare di dolcezza?
Quando sento l’amarezza.
L’oppressore si diletta.
Ha battuto la mia bocca.
Non ho un compagno nella vita.
Per chi posso essere dolce?
Non c’è nessuna differenza tra parlare, ridere,
Morire, esistere.
Soltanto io e la mia forzata solitudine
Insieme al dispiacere e alla tristezza.
Sono nata per il nulla.
La mia bocca dovrebbe essere sigillata.
Oh, il mio cuore, lo sapete, è la sorgente.
E il tempo per celebrare.
Cosa dovrei fare con un’ala bloccata?
Che non mi permette di volare.
Sono stata silenziosa troppo a lungo.
Ma non ho dimenticato la melodia,
Perché ogni istante bisbiglio le canzoni del mio cuore
Ricordando a me stessa il giorno in cui romperò la gabbia
Per volare via da questa solitudine
E cantare come una persona malinconica.
Io non sono un debole pioppo
Scosso dal vento
Io sono una donna afgana
E la (mia) sensibilità mi porta a lamentarmi.