Ho osservato questo libro sin da prima che uscisse, a fine settembre: il titolo e la copertina fucsia mi hanno proprio chiamata e sedotta come il canto delle sirene.
La parola sottomissione la conosco molto bene, conosco ancora meglio gli atti di sottomissione a cui mi sono sottoposta diverse volte nella mia vita amorosa, specialmente in una lunga relazione che ho avuto qualche lustro fa.
Questa relazione mi ha regalato una fortissima dose di dolore e annientamento, ma anche la possibilità di indagare meglio il motivo per il quale mi ci ero sottoposta, attraverso la terapia e innumerevoli libri sul narcisismo, la dipendenza affettiva e il femminismo, e di vivere poi, finalmente, l’amore nelle sue forme più sane.
Devo dire la verità: avrei fatto volentieri a meno di questa formazione votata al dolore.
Più passano gli anni e più mi convinco che la storiella che il dolore fortifica e rende migliori sia un modo per far apparire più accettabili i disastri e le vicende tormentate.
Come se la gioia e la pienezza fossero invece condizioni meno formative.
E non lo sono, lo so per certo.
Ma è solo leggendo questo libro che penso di aver chiuso definitamente il cerchio con quella che sono stata e con la sofferenza indicibile che mi ha accompagnata per diversi anni.
E l’ho chiuso perché Megan Nolan, autrice irlandese classe 1990, ha raccontato esattamente cosa è successo a me e a tante altre ragazze e donne, in un racconto in cui non ha risparmiato niente degli abissi in cui si sprofonda quando si ama in modo iperfocalizzato una persona scialbamente inadeguata.
In pratica, Megan mi ha raccontato la mia storia, nella finzione della sua narrazione, probabilmente piena di suoi riferimenti autobiografici.
La prima cosa che ho pensato leggendo è stata: ma come può una ragazza che vive a migliaia di chilometri da me, più piccola di me di 13 anni, sapere così tante cose di me da sembrare quasi che sia stata me, proprio me, in tutte le fasi di disagio e follia che vengono raccontate in queste 277 pagine?
Miracolo dei libri: ci sarà sempre un libro e quindi un’autrice (o autore) che, come in una specie di spazio medianico, sa esattamente tutto, conosce tutto e lo scrive, lo racconta e lo dà poi in regalo alle lettrici e ai lettori che, attraverso percorsi e strane strade, riuscirà a intercettare proprio quel libro.
La storia viene narrata in prima persona e della narratrice non viene mai menzionato il nome; di lei conosciamo il corpo, i sentimenti, i pensieri, i vizi, le manie, ma non il suo nome: è lei, sono io, sono tante altre, siamo noi tutte che siamo incappate in una storia in cui il lui di turno non ci chiamava mai per nome, e non ne aveva bisogno, perché noi eravamo comunque lì, ad anticipare i suoi bisogni e le sue mosse, ed eravamo lì con il nostro disperato e insano bisogno di essere amate, considerate e volute al punto da perdere la nostra identità, il nostro nome.
Il nome di lui invece, ovviamente, è noto sin dalla prima pagina in cui viene raccontato il primo incontro e lei ci dice anche che il primo sentimento, la prima sensazione nel vederlo fu quella della pena: quell’uomo le faceva pena.
Quante volte ci è capitato di ignorare completamente quello che abbiamo pensato di qualcuno appena conosciuto e visto, per poi ritornarci tempo dopo e dirci: avevo ragione.
Nei primi momenti di conoscenza ci sono tutti i semi delle profezie autoavveranti, ma affinché tali profezie si avverino, spesso, bisogna passare attraverso diversi purgatori sentimentali.
La Nolan scrive in prima persona, come se stesse scrivendo un diario, e ciò che colpisce è la totale mancanza di toni drammatici: si limita a raccontare come sono andate le cose senza mai lasciarsi andare ad accenti patetici.
Il tono è quasi distaccato, un distacco che nasce dall’indulgenza nei confronti di se stessa; dirà a un certo punto che – ok! – odia la sua debolezza, odia aver permesso ad un uomo di ferirla e distruggerla, ma quella stessa debolezza la ama, ama la ragazza che ha fatto quelle cose, perché le spiace per lei e la capisce.
E’ una storia d’amore e disperazione molto comune quella ci racconta l’autrice irlandese: in cui provare la sofferenza diventa quasi un lavoro e gli atti autopunitivi si insinuano nelle azioni di cura, come cucinare, tenere in ordine la casa, stirare le camicie fino a creare un ecosistema che ha come obiettivo quello di rendere dipendente da sè l’oggetto d’amore, ossia un uomo anaffettivo, narcisista, disattento, attratto da altre donne e da ex ingombranti.
E poi l’atto punitivo supremo è il sesso, spesso insoddisfacente, in cui l’inadeguatezza di lui si erige limpida e cristallina, in cui l’unico vigore presente è quello dell’induzione alla mortificazione; il sesso come unico modo e unico luogo per tenere legata a sè una persona.
Questa è una storia di narcisismo e dipendenza affettiva, che sono due pezzi di un puzzle che si incastrano perfettamente.
In tempi di empowerment femminile si potrebbe tratteggiare la protagonista di questo romanzo come pazza e stupida, come autolesionista, come una che alla fine se l’è cercata tutta quella valanga di acredine, di freddezza, di dolore, di rabbia e di continuo e chirurgico svilimento della propria persona.
Ci si potrebbe chiedere come possa accadere che il progetto di una donna diventi quello di far innamorare di sè un uomo, per sua stessa natura indifferente, di accettare l’isteria e le discussioni pur di sentire la presenza dell’altro e non ritrovarsi affogata nella sua assenza.
Si potrebbero chiamare in causa terapisti, analisti e counselor (professionisti che poi le donne che hanno avuto storie simili consultano e frequentano per lunghi periodi; siamo pazienti molto devote e molto brave quando decidiamo di andare a fondo e liberarci dai mostri) e una marea di libri di self help a riguardo e trovare le risposte, la compassione e la pena.
Ma la verità è molto più semplice ed è che l’amore spesso si incarna in persone che ci fanno del male e non è una colpa innamorarsene e volerle nella nostra vita.
Ed è proprio questo quello che mi ha fatta innamorare di questo libro: l’incredibile e profonda purezza del punto di vista della narratrice, che non nasconde nulla a se stessa e a chi sta leggendo, denotando una onestà intellettuale ed emotiva commovente che ad un certo punto le fa dire: “Il potere che gli uomini hanno avuto su di me, più che una ragione per odiarli, mi sembra un dato di fatto. E comunque, chi sono io per odiarli? Non avrei potuto rendermi immune da questo loro potere con un po’ di forza di volontà, educazione e orgoglio, in questo nuovo secolo? Non avrei potuto scegliere altri grandi amori invece degli uomini che ho scelto di amare? Certo che avrei potuto, ma non l’ho fatto, e questa, la mia storia, è la storia di questo atto mancato.” (pag.198)
Sarebbe così bello poter dire “sono una donna di questo secolo, il mio desiderio sessuale è mio e non dipende dagli uomini, sono una donna emancipata e i killer sentimentali li vado scansando come la peste nera”.
Sarebbe bello, ma tutte noi, anche le più evolute tra noi, sono cadute, almeno una volta nella vita, nelle spire di un sentimento di matrice maschilista, in cui ci siamo trasformate in amanti passive e casalinghe perfette pur di tenere in piedi un amore sbilanciato e tossico.
Ma lo switch prima o poi arriva e arriva proprio attraverso il sesso.
L’autodeterminazione del corpo, del piacere e del proprio essere, arriva quando incontriamo qualcuno che agisce su di noi con attenzione, cura, tenerezza e ci rendiamo conto di quanto ossigeno siamo in grado di respirare, di quanto sia bello abbandonarsi tra le braccia di qualcuno che non giudica il nostro corpo, che ha a cuore il nostro godimento, che ci fa sentire al caldo.
Ed è poi lì che avviene il miracolo: tutta la freddezza che abbiamo subito come in un crudele stillicidio, la restituiamo in un colpo solo.
E’ la freddezza dell’orgoglio e dell’amor proprio.
“Atti di sottomissione” è un libro che aspettavo da tempo, sinceramente senza troppe speranze, mi sentivo la sola al mondo ad aver vissuto un incubo sentimentale.
E, invece, in Irlanda, c’è una giovane donna che è stata capace di scrivere la mia storia e la storia di altre come me, facendoci respirare nelle sue pagine, senza incolparci e dirci quanto siamo state cretine.
Ci sta dicendo soltanto che ci vuole bene, perché ci conosce.
Alida Melacarne
Titolo: ATTI DI SOTTOMISSIONE
Autrice: MEGAN NOLAN
Traduzione: TIZIANA LO PORTO
Editore: NN EDIZIONI
Collana: Le Fuggitive
Pagine: 277
Prezzo: 19 euro