Ripartire con leggerezza, dopo il lockdown e le successive restrizioni; tornare ad una vita normale facendo tesoro dell’esperienza vissuta, riconsiderando il rapporto con la casa, protagonista indiscussa della nostra “vita reclusa” durante la quale ne abbiamo saggiato bellezza, funzionalità, comodità ma anche inadeguatezza, limiti, claustrofobicità.
La casa parla di noi e di noi parlano le case che abbiamo abitato.
Ristrutturazione, ovvero disavventure casalinghe raccontate da Sergio Rubini, in scena al Teatro Piccinni di Bari (repliche, nell’ambito delle Stagioni del Teatro Pubblico Pugliese, ancora oggi e domani a Bari, poi a Gioia del Colle l’8 marzo, Lecce il 9 marzo, Ostuni il 10 marzo, Ginosa l’11 marzo e Bisceglie il 12 marzo), è il racconto tragicomico delle vicende legate alle case che l’attore ha abitato nel corso della sua vita.
Si parte dalla prima, un seminterrato buio soprannominato “il pozzo”, comprato con i risparmi dei genitori che vogliono stabilità per questo figlio che da Grumo Appula è andato a Roma per fare l’attore. Si viaggia attraverso la “microcasa” con terrazza sui tetti romani. Si prosegue con quella che sovrasta il palazzo antico e nella quale non funziona il citofono (col malcapitato padrone di casa costretto a interminabili pellegrinaggi per consentire agli ospiti di salire a casa sua) e si arriva finalmente alla casa “decisiva”, comprata dopo estenuanti trattative con la venditrice, giunte a buon fine solo grazie al Tavor generosamente distribuito dal notaio incaricato del rogito.
Per ognuna un’avventura o piuttosto una disavventura: un guasto, un allagamento, una ristrutturazione dai tempi infiniti e dai costi esorbitanti, che diventa motivo di dileggio e di consigli non richiesti (ma generosamente forniti) da parte del vicinato.
E poi personaggi truffaldini e incapaci, millantatori di inesistenti competenze: dall’ormai famoso autista Vito, con il suo improbabile amico Agostinelli, all’idraulico Mario, già protagonisti dei monologhi di Rubini nel programma di Giovanni Veronesi “Maledetti amici miei”.
Tutti pronti a sistemare, a risolvere, a complicargli la vita in una escalation di disavventure e rotture che neanche l’intervento dello psicanalista, che da venticinque anni tiene a bada le sue nevrosi e che viene chiamato in soccorso del protagonista, basta per affrontare il precipitare degli eventi.
E infine la pandemia, vissuta in coppia in una iniziale condizione di tranquillità, almeno fino a quando il tubo di scarico collegato al tritarifiuti si intasa, infestando la casa di un indescrivibile cattivo odore. È il momento in cui la coppia vacilla e saltano gli equilibri ed è solo grazie ad un ingegnere conosciuto su Internet che il problema si risolve, dando vita però a un pericoloso equivoco che richiederà ancora una volta l’intervento dell’analista per essere risolto.
Sergio Rubini regge sulle sue spalle in modo egregio uno spettacolo estremamente divertente.
Il pubblico è subito dalla sua parte, perché quello delle ristrutturazioni e delle relative vicissitudini è un tema che appassiona e affratella e rende solidali tra loro persone fino ad allora sconosciute. Tutti ci ritroviamo nelle sue parole, tutti ricordiamo il momento in cui abbiamo deciso di fare più nostra la nostra casa. Tutti abbiamo conosciuto un Vito o un Mario e una pletora di operai fannulloni, di millantatori, di esperti improvvisati.
Gli irresistibili monologhi di Rubini sono inframmezzati dalla lettura di aulici brani di Gio’ Ponti che parla della necessaria bellezza dell’architettura, di Gibran che indica la vera (in)consistenza della casa, per risalire addirittura a Vitruvio che, partendo dalla scoperta del fuoco, descrive il progressivo stabilizzarsi dell’uomo primitivo nel rifugio che diventa abitazione: brani lunghi e complessi, che l’attore sostiene e vivifica rendendoli fruibili e piacevoli.
Uno spettacolo ben costruito, con testi frizzanti e con un’architettura solida. Impareggiabile Rubini, che tiene il palco con naturalezza e ritmo sostenuto. Mossa intelligente e vincente, a nostro parere, è la presenza sul palco della band che non fa da supporto, ma in qualche misura è coprotagonista e contrappunto; Musica da ripostiglio è un gruppo di musicisti eccezionali: Luca Pirozzi e Luca Giacomelli alle chitarre e voci, Raffaele Toninelli al contrabbasso, Emanuele Pellegrini alla batteria. Quattro artisti che uniscono ad un consistente bagaglio tecnico la capacità di fare spettacolo, di sceneggiare la musica, di renderla giocosa e irriverente e così divertente da strappare applausi a scena aperta (una su tutte la performance di Pellegrini che, in un assolo di diversi minuti, parte dalla sua batteria e, muovendosi sul palco, suona praticamente tutto quello che incontra, fino agli strumenti e ai tacchi delle scarpe degli altri musicisti). Fantastico gruppo dal nome che già di per sé ne denuncia lo spirito goliardico (Musica da ripostiglio perché “Musica da camera” sembrava da presuntuosi).
Bene ha fatto Rubini, che insieme a Carla Cavalluzzi ha scritto lo spettacolo e che ne firma la regia, ad avvalersi della loro presenza che vivacizza, sottolinea e potenzia la cifra comica. Attore e musicisti insieme anche nell’inchino al pubblico, nella consapevolezza che tutti coloro che calcano la scena rendono godibile lo spettacolo.
“Ristrutturazione” è boccata d’aria fresca che, come l’attore pugliese stesso precisa nel finale, non è superficialità, ma desiderio di tornare a sorridere. E noi sorridiamo volentieri, trascinati dai suoi racconti, dalle sue disavventure che in fondo sono così simili alle nostre. Di Rubini abbiamo apprezzato il talento, la simpatia, la capacità di stabilire immediatamente una forte complicità col pubblico, che lo segue per tutta la durata di questo tragicomico racconto che è la nostra vita. E lo ringraziamo non solo per averci svelato l’incredibile potere della varichina (che solo chi andrà a teatro nelle prossime sere potrà scoprire) ma soprattutto per averci regalato una leggerezza che non è banalità, ma capacità di ridere e sorridere davanti alle piccole catastrofi del quotidiano.
Imma Covino
Foto di copertina di Silvio Donà