“Everytime I look at you don’t understand: why you let the things you did get so out of hand?You’d have managed better if you’d had it planned. Why’d you choose such a backward time and such a strange land? If you’d come today you could have reached a whole nation; Israel in 4 BC had no mass communication.”
(“Ogni volta che ti guardo, non capisco: perché lasci che le cose che hai ottenuto siano così fuori controllo? Lo avresti gestito meglio se lo avessi programmato. Perché hai scelto un tempo così arretrato e una terra così strana? Se fossi venuto oggi avresti potuto raggiungere un’intera nazione; Israele nel 4 aC non aveva comunicazioni di massa.”)
Il rito è compiuto.
Nella vita di ognuno di noi ci devono essere delle certezze; per molti di quelli che hanno la mia età, una di queste è certamente l’incontrastata ed imperturbabile fedeltà a “Jesus Christ Superstar”, unanimemente definita la più famosa opera rock di tutti i tempi per merito, soprattutto, dell’inimitabile versione cinematografica del 1973 con la regia di Norman Jewison; eppure – vi assicuro – non si può dire di aver goduto sino in fondo delle magnifiche architetture create dai testi di Tim Rice e dalle melodie di Andrew Lloyd Webber se non si è stati, almeno una volta nella vita, spettatori festanti ed emozionati del musical, ancora oggi rappresentato in ogni parte del mondo da decine, forse centinaia, di Compagnie.
In Italia, ad esempio, il testimone è ben saldo nelle mani del regista Massimo Romeo Piparo, il quale dal 1994 porta in scena edizioni di tutto pregio, reclutando, di volta in volta, anche gli originali protagonisti della pellicola: è accaduto con il mai abbastanza compianto Carl Anderson (Giuda Iscariota), Yvonne Elliman (Maria Maddalena) e Barry Dennen (Ponzio Pilato), mentre è ormai da qualche anno che si è creato un connubio perfetto con Ted Neeley, il Gesù Cristo cinematografico.
E serve a poco contestare che Ted ha tagliato il traguardo delle 78 primavere, che il suo volto mostra i segni dell’impietoso tempo trascorso e che, purtroppo, la sua voce non può più raggiungere le vette incontaminate che hanno fatto sognare e venire i brividi ad intere generazioni di adoranti discepoli, come appare lapalissiano soprattutto nella splendida “Gethsemane”, brano che, volendo riconfermare la presenza di Neeley, che comunque viene sempre accolto da vere ovazioni, sarebbe meglio ripensare, rendendolo più introspettivo, intimo, spirituale: contro ogni opposizione, quando JCS chiama, occorre rispondere e – come detto – partecipare al rito, come è avvenuto anche nelle due repliche sold out inserite nell’annuale Stagione di eventi del Teatroteam di Bari.
La forza di Piparo è aver immediatamente compreso – a differenza di taluni suoi colleghi – che il musical originale non necessita di alcuna “modernizzazione”, essendo riuscito a conservare tutta la straordinaria energia propulsiva di quella che, di fatto, è ancora l’opera che, più d’ogni altra, ha rinnovato il concetto stesso di sacralità, parlando al popolo dei giovani con un linguaggio così anticonvenzionale da poter essere moderno ancora per innumerevoli generazioni a venire, se non per sempre; per attualizzare il messaggio di Rice basterà, allora, contestualizzarlo, come il regista saggiamente sa fare inserendo nella scena delle frustate, assieme alle icone di martiri dei nostri tempi come Martin Luther King, Malcom X, Nelson Mandela, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, una drammatica serie di immagini della guerra tuttora in corso a poca distanza da noi, fermandosi sulla foto di una bandiera ucraina lacerata, e, nel finale, trasformando un enorme sudario rosso in quella stessa bandiera.
Ma, al di là delle parole, è sempre la musica di Webber a farla da padrona, a catturare le menti ed i cuori di un pubblico di affezionati, ma anche di tanti giovani e finanche giovanissimi, che, ancora una volta, hanno sussultato, pianto, cantato, urlato, danzato su quelle note impareggiabili, incomparabili, ineguagliabili, sino a salutare i loro eroi con una interminabile standing ovation. Merito di un cast davvero ottimo che, oltre al divino Ted, poteva contare sullo straordinario Giuda di Feysal Bonciani, molto simile, anche fisicamente, all’inimitabile Carl Anderson, su Simone di Giorgio Adamo, su Hannas di Mattia Braghero e Caifa di Francesco Mastroianni, con il solito gioco delle voci contrapposte (bassa per il primo, acuta per il secondo), su Maria Maddalena di Dafne Kartsiaklis, sullo spettacolare Erode di Axel Torrisi, più vicino alla versione di Alice Cooper dell’edizione live del 2018 che all’originale, su Pilato di Andrea Di Persio e su Pietro di Michele Iacovelli, tutti perfettamente diretti dal Maestro Emanuele Friello, a capo di una inappuntabile piccola orchestra che, ben visibile sul palco, esegue tutti i brani dal vivo senza alcuna sbavatura, richiamando precisamente ogni sonorità voluta dal compositore.
Sulla funzionale scenografia di Teresa Caruso, composta di ponteggi (come nel film), ma anche di un praticabile girevole, che spesso diventa parte integrante del grande schermo che fa da fondale, e di una grande scalinata, si muove, illuminata dalle luci di Daniele Ceprani e bardata nei costumi di Cecilia Betona, la straordinaria Compagnia di ballerini, cantanti, acrobati, tutti degni, assieme al coreografo Roberto Croce, di un applauso interminabile, non fosse altro che per aver permesso al mito di JCS di non tramontare, consentendo anche alle nuove leve di abbeverarsi a questa fantastica ed inestinguibile fonte.
Pasquale Attolico
Foto dal sito ufficiale del musical