Dopo due serate all’insegna delle sperimentazioni al femminile, “Experimenta”, la XXIII edizione del festival musicale multicodice che nasce con i patrocini dei Comuni di Alberobello e di Bari, con l’organizzazione della cooperativa Herostrato e Time Zones e la media partnership di Rai Radio3, pizzica i suoni mediterranei del presente, sin nelle corde più intime.
Il principio della serata è affidato a Davide Ambrogio, cantante, compositore, polistrumentista aspromontano, che con le sue “Evocazioni e Invocazioni”, lavoro discografico recentissimo, compie un viaggio che, trovando il punto di appello al trascendente più vicino a sé, quello delle preghiere ai Santi del cattolicesimo, delle nenie, delle voci registrate in lingua calabrese (con un poderoso lavoro etnografico sui testi), lancia un messaggio ecumenico. La Vallisa, con la sua acustica, con la sua vita precedente di tempio religioso, con l’abside dalle finestre alabastrate, si presta benissimo a questa musica di gusto devozionale.
Anche Ambrogio, con la sua allure ieratica e la sua autentica vocazione, imprime una gradevole solennità al contesto.
Se per un attimo ci distacchiamo dalla nozione dell’origine del musicista, fatichiamo a distinguere la potenza vibrazionale e ancestrale del suo canto da quella di altre tradizioni, alla riprova che la definizione “world music” è una buffa discriminazione: un segnale unisce la tammurriata calabrese con le danze delle civiltà subsahariane e precolombiane, un continuum spaziotemporale che ci unisce in quanto abitanti dello stesso pianeta. A livello musicale, finanche Ennio Morricone, ad esempio nei temi di Mission, ha fatto propria questa lezione, utilizzandola per creare emozione.
Davide Ambrogio la crea a modo suo, unendo gli echi delle voci registrate e la tammorra, il flauto e la danza dei piedi, la cornamusa e la loop station, la lira calabrese e il canto, in modo incalzante e ipnotico, tanto da far ballare le bambine presenti.
Nascono così le invocazioni a San Michele (“Protettore della Polizia e della ‘ndrangheta”, come fa presente Ambrogio), a Santa Rosalia, a San Rocco (protettore del cinema e delle epidemie, paradossalmente), ma anche la ninna nanna “Veniti sonnu” e la bellissima “La panza ciangi e lu cani ridi”, climax del concerto, che termina con “L’accordo”, a corroborare i significati ecumenici della sua, come di infinite altre musiche.
È la volta di Hairetis & Harper, duo formato dalla jazzista londinese Maria Christina Harper all’arpa (omen nomen è stato già detto?) e dal cretese Yiagos Hairetis, liuto e voce. Il duo presenta il lavoro discografico “Drafts (same difference music)”, nato durante la prima ondata della pandemia (“un disco che ha viaggiato più di noi”, a detta della stessa Harper).
La partenza, dolce, soave, cede il passo a un folk impetuoso. Gioiello del disco è “Tsakoniko” un’antica danza del Peloponneso.
La modernità del suono è in un liuto, che ricorda certune chitarre dei Depeche Mode, ma anche alcune colonne sonore di sapore gringo, laddove le distorsioni dell’arpa, ora morbide e liquide, quasi di corda pianistica, diventano d’improvviso più sorde e compatte.
Bellissima anche “Lute Interlude”, un liuto che racconta molto della chitarra classica di “Spanish Caravan”, cui le corde dell’arpa sembrano voler parlare.
E ancora, le piccole poesie cretesi di “Bells”, per poi concludere con gli echi cristallini di “Meadow” e “Speedy”, che richiama venti lontani, i quali rispondono con un turbine forsennato, degna conclusione del concerto.
Beatrice Zippo