Dinko Fabris insegna Storia della musica e musicologia all’Università della Basilicata (Matera) e all’Università di Leiden in Olanda. È stato il primo italiano Presidente dell’International Musicological Society, di cui è attualmente Past President. Dal 2020 è responsabile del Dipartimento di ricerca editoria e comunicazione del Teatro di San Carlo a Napoli.
Il Cirano Post è onorato di pubblicare, a cadenza settimanale, le puntate del reportage del suo magnifico viaggio in Pakistan per dare vita ad un progetto dall’alto valore sociale ed umanitario.
A lui vanno i sentiti ringraziamenti di tutta la nostra Redazione per la straordinaria opportunità che ci offre con questa collaborazione, sperando che possa essere la prima di una lunga serie.
Se volessimo seguire su una cartina geografica le provenienze dei musicisti impegnati nel progetto “Heritage Live”, troveremmo luoghi inaspettati molto distanti tra loro agli estremi del paese: il Punjab con al centro la città di Rahim Yar Kahn (per Sundar Mai, Zainab Bibi, Zareen Laal, e i già citati Sajid e Wahid), Chitral nell’omonimo distretto ai piedi delle montagne dell’Hindu Kush (Faizan Kazi), il Sindh (Jay Ram Jogi e Amar Bai), Quetta nel Belucistan (Ali Adil e Khawand Bakhsh) e Gilgit-Baltistan (Islamud Din, Sunaila Barg e Asiya Bano).
Uno dei musicisti suonava uno strumento molto particolare, il banjo del Belucistan, una sorta di riproposizione moderna, come si capisce dal nome, dell’antico strumento diffuso nel medioevo anche in Europa come “organistrum”, in cui i tasti agiscono sulle corde; ed abbiamo scoperto altri affascinanti strumenti ad arco come il sarinda (proveniente dall’area Pashtun al confine con l’Afghanistan intorno alla città di Peshawar), il suroz del Beluchistan e il xighini (o zegheni): entrambi strumenti considerati a rischio estinzione.
Alcune giovani musiciste studiano all’Università materie non musicali, ma hanno appreso tecniche musicali antiche nei loro lontani territori d’origine da maestri con cui sono rimaste in contatto: è il caso di Sunaila, cantante e suonatrice di rubab e della sua amica Asiya, presentata con orgoglio come l’unica suonatrice donna di xighini, entrambe provenienti da Hunza (come il polistrumentista Islamuddin, che è apparso il più dotato dei giovani partecipanti) nell’incantevole valle di Gilgit-Baltistan, area di provenienza anche della tipica percussione chiamata dadang.
Una situazione molto forte emotivamente era la presenza di due musicisti ospiti afgani, rifugiatisi in Pakistan dopo una rocambolesca fuga: Shams Raheel (rinomato virtuoso di rubab) and Rahat Gul (unico suonatore di tabla del gruppo, ha generosamente suonato praticamente senza pause con tutti). La storia di Shams è stata raccontata dalla tv Al-Jazeera e dai media di tutto il mondo, e grazie a questo avrà un lieto fine: ha ottenuto un visto per la Germania, dove potrà raggiungerlo la moglie con i figli piccoli (ha fatto da intermediario per le nostre conversazioni il dottor Arif Oryakhail, per decenni medico al Gemelli di roma, poi a Kabul e ora collaboratore della cooperazione italiana a Islamabad).
Nel doppio concerto finale con questo gruppo molto eterogeneo si sono esibiti i musicisti scelti dalle delegazioni di Austria (Esad Halilovic alle percussioni), Bulgaria (Zhivko Vasilev ai flauti tradizionali e jazz), Repubblica Ceca (la cantante e chitarrista Amelia Siba), Romania (il suonatore di flauti tradizionali Grigore Lese con l’assistente Zamfira) e ben due disk jockey accomunate da una grande creatività e multiculturalità: la polacca Ifi Ude, anche vocalist di origine nigeriana, e Ipek Ipekcioglu, tedesca di origini turche. Entrambe hanno letteralmente conquistato nel finale dei due concerti di Islamabad e Lahore i giovani che costituivano la gran parte del pubblico, costringendo tutti i presenti a ballare sul tappeto sonoro dei timbri di voci, ritmi e strumenti tradizionali pakistani e la elaborazione elettronica europea. Evidentemente la Francia è entrata nel coordinamento “Heritage Live” con un progetto autonomo già avviato che consisteva in una collaborazione tra il gruppo pop francese Alright Mela, che aveva già inciso dischi con musicisti pakistani, e il cantante Qawwali pakistano Manzoor Hussain Santoo (un evidente emulo di Nusrat Fateh Ali Kahn): il gruppo francese si è dunque presentato direttamente ai concerti, ignorando la convivenza internazionale proposta per una settimana da Face e questo non ci è sembrato nello spirito del progetto.
Abbiamo lasciato per ultima la squadra italiana non per spirito nazionale, ma perché probabilmente la presenza di un compositore e didatta esperto come Fabrizio Festa è stata la scelta migliore in assoluto da parte di un paese europeo partecipante al progetto, vista la finalità di scambio di conoscenze e di aiuto alla crescita e alla sopravvivenza della musica in Pakistan. Infatti, abbiamo osservato come uno dei principali problemi per quel paese è la mancanza assoluta di scuole pubbliche di musica. Da tempo immemorabile, e fino alla divisione dall’India, la trasmissione del sapere musicale era affidata al classico rapporto tra maestro e allievo. Ma mentre in India si sono moltiplicati gli istituti che insegnano musica fino al livello universitario, nell’intero Pakistan non esistono conservatori, accademie o scuole di nessun ordine che insegnino musica, ed ovviamente non si trova nei programmi delle numerose università esistenti nel paese, tranne che nell’Istitute for Arts and culture di Lahore, ma in maniera generica e non specialistica. Festa ha potuto scoprire le sonorità degli antichi strumenti pakistani e la bellezza delle melodie cantate e dei ritmi, che ha impiegato su moduli improvvisativi concertati con grande competenza e con l’apertura che deriva dalla lunga pratica di jazzista e di insegnante di conservatorio. Il contributo di Rosalia Stellacci è stato decisivo, non soltanto per le sue apprezzate doti di vocalist e improvvisatrice, ma per i molti consigli tecnici che ha potuto a sua volta porgere alle cantanti pakistane coinvolte. Fabrizio e Rosalia hanno concluso con grande successo il loro primo tour pakistano offrendo in duo un concerto finale all’Ambasciata d’Italia.
Alla fine di questa esperienza, confrontandoci con Fabrizio e Rosalia, e naturalmente con le dirigenti e operatrici della cooperazione italiana in Pakistan Emanuela e Cristina, abbiamo tutti concordato che il progetto “Heritage Live” è un prezioso punto di partenza per tentare di arginare la progressiva estinzione della musica tradizionale in Pakistan, ma non porta a soluzioni sul medio e lungo percorso. Soltanto la creazione di scuole pubbliche di musica, inizialmente in alcune città importanti e poi in tutto il paese, può assicurare la sopravvivenza di un patrimonio di conoscenze unico al mondo.
Nel nostro piccolo, proporremo quindi al conservatorio di Matera e all’Università della Basilicata, enti già consorziati in una associazione chiamata “Universa musica”, di promuovere la creazione di un movimento di scambio, invitando giovani musicisti pakistani a seguire corsi di musica a Matera e nel sud Italia, e contemporaneamente portando docenti volontari ad aprire corsi musicali in Pakistan.
Un piccolo passo ma siamo certi che, con l’intervento delle altre nazioni che partecipano al Consorzio Eunic, potrà produrre risultati molto più concreti delle effimere visualizzazioni su Instagram o TikTok.
In attesa del prossimo “Heritage Live” 2023.
Dinko Fabris