Me le ricordo le domeniche del pallone di quando ero piccola.
Gli uomini, quando non imponevano l’orario del pranzo combinandolo con quello della partita allo stadio, dovevano seguire le partite con le radioline o alle prime autoradio, rifugiati nei bar, nei circoli e nelle automobili, cacciati dalle padrone di casa, intente con le grandi manovre postprandiali.
Le prime reti locali iniziavano a trasmettere incontri delle serie minori, con grafiche e effetti sonori che già all’epoca avevano un’estetica discutibile.
Eppure, per chi come me veniva concepita nei giorni della vittoria della Nazionale Italiana ai Campionati Mondiali di Spagna del 1982, questa dimensione aveva già subito una metamorfosi.
Il gioco del calcio, da una sfera sportiva, di pensiero, di atleti, di intelligenza del gruppo, fino a lambire la politica in quanto strumento di affermazione della sovranità nazionale, diventava glamour, personalità, business. Ci sarebbe voluta un’ulteriore metamorfosi, affinché il calcio si spostasse ancora, votandosi alla finanza e a poco altro, alle pay per view, agli sponsor e alle plusvalenze, lasciando miracolosamente invariati i sogni dei bambini.
Senza scadere nel passatismo, è un balsamo ricorrere con la memoria storica e collettiva proprio a quei momenti di passaggio. Non solo la musica e le arti in genere, ma anche lo sport, come vettore di energia aggregante pulita e rinnovabile – sennò non è sport – è essenziale per trasmettere valori edificanti, divertendosi.
E diverte tantissimo Federico Buffa, anzi “Federico Buffa racconta”, magari affibbiandogli un secondo cognome honoris causa, volto, voce, spirito di Sky Sport, narratore assieme fine e giocoso, che al Giardino dei Limoni del Monastero di San Benedetto a Conversano ha portato il suo spettacolo “Italia Mundial”. Ad accompagnarlo è il pianista, ma anche compositore e direttore d’orchestra, Alessandro Nidi. La regia è di Marco Caronna. Lo spettacolo, a cura del Comune di Conversano in collaborazione col Teatro Pubblico Pugliese, fa parte del contenitore Borgo d’Estate 2022.
La musica impartisce gli accenti a tutta la narrazione da cui è inseparabile, sia nei momenti che ricalcano le evocazioni delle nazionali, che nei momenti di epos, ai limiti del leggendario (come nella composizione del coyote, urlata, trascinata, amara come un bianco e nero che non c’era più nemmeno nel 1982), alle volte ancella, alle volte protagonista.
La ricetta sapiente di Buffa vede il calcio giocato come uno degli ingredienti a spiegazione del fenomeno, e nemmeno il più importante, perché le partite chi le ha viste le ricorda necessariamente. Gli altri sapori, il vero valore aggiunto nello storytelling, sono le storie personali di giocatori e allenatori, quadretti che talora pongono l’accento sull’estrazione sociale del giocatore, altre volte sull’aneddotica che esaspera i tratti del soggetto raccontato fino a renderne un carboncino caricaturale, nient’affatto iperbolico. Dalla famiglia Scirea, alla precisione millimetrica di Zico, dai patimenti fisici e psichici di Zoff, da solo in porta e nei suoi pensieri come un vero numero primo oltreché “1”, all’incoscienza in senso stretto di Bergomi.
Sullo sfondo, l’Italia di Pertini, in cui la fine degli anni di piombo aveva esaurito da poco gli scossoni di una democrazia ragazzina, una Prima Repubblica all’apice della maturità. Una situazione molto diversa dalla ribollente Spagna postfranchista, lo stesso racconto del Mondiale prende le mosse dal golpe della Guardia Civil spagnola del 1981.
L’ingrediente determinante è proprio il ritratto dei due grandi vecchi del Mondiale di Spagna: lo stesso Pertini, incontenibile tifoso finanche costretto a Parigi presso un incontro con Mitterrand; “il Vecio”, preso a carezze da Buffa lungo tutta la serata, Enzo Bearzot, una parola di più su di lui sarebbe stata pleonastica, un’inutile captatio del pubblico, una parola di meno lo avrebbe relegato nell’inglorioso. Troppo facile raccontare della partita a scopone, più difficile ritrarre i fili intrinsechi che portano la persona a diventare quello che è, dallo spogliatoio alla casa privata.
Il colpo da maestro è il mash-up tra l’urlo di Munch e l’urlo di Tardelli, riproposto anche nell’artwork della locandina dello spettacolo. Complice l’atmosfera da maxischermo, come si fa a resistere alla tentazione di saltare di gioia, urlando anche noi?
Beatrice Zippo